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Georgia, proteste contro la “Legge russa”

L’8 marzo, per il secondo giorno di seguito, i cittadini georgiani sono in piazza a protestare contro l’approvazione della legge sugli “agenti stranieri”.

Le proteste a Tbilisi di oggi, cominciate intorno alle 15 ora locale con il sit in delle donne, sono adesso nutrite al punto da contare più di diecimila manifestanti, secondo quanto riportato da “Nexta”.

Questo 8 marzo è il secondo giorno di feroci proteste di fronte al parlamento.

Tutto sembra tranquillo, al momento. Le proteste di ieri hanno portato a 66 arresti fra i manifestanti, fra cui il segretario di “Girchi” Zurab Japaridze, che è stato pestato e ha riportato “ferite gravi”, secondo quanto detto oggi dal difensore pubblico Levan Ioseliani, che ha oggi visitato i manifestanti detenuti. Diversi arresti anche fra i giornalisti.

Il ministero degli interni ha rilasciato un comunicato nel quale nota che, a seguito degli scontri, 50 esponenti delle forze dell’ordine sarebbero rimasti feriti.

Nessuna menzione rispetto al numero di manifestanti, invece, che a seguito dell’utilizzo di idranti, lacrimogeni, spray al peperoncino e proiettili di gomma, hanno riportato danni.

La giornata di oggi sarà lunga, e la serata ancora più lunga.

Ieri, dopo aver ottenuto l’approvazione dalle commissioni parlamentari attinenti, il parlamento ha approvato in prima lettura una legge, “sulla registrazione degli agenti stranieri”/”sulla trasparenza dei fondi”. Il disegno di legge è stato presentato in una duplice versione, ma il contenuto è comunque il seguente: tutte le organizzazioni e gli individui che, aldilà dell’ambito commerciale, ricevano più del 20% dei propri fondi dall’estero, devono registrarsi come – letteralmente – “agenti stranieri”. Inoltre, per dare attuabilità alla legge stessa, questa autorizza il potere giudiziario a condurre investigazioni preventive su tutti gli individui e gli enti “sospetti”. Questo significa che se per qualche motivo un cittadino o un’organizzazione fosse invisa al governo, il potere giudiziario potrà investigare sugli aspetti finanziari privati di questi, giustificato dalla necessità di verificare che nonostante non registrato come tale, esso sia un “agente straniero”.

Poiché la maggior parte dei media indipendenti sono ovviamente finanziati dall’estero, questo comporterebbe il totale abbattimento del pluralismo d’informazione in Georgia. Nonché consentirebbe un regime di intimidazione e silenziamento preventivo di tutti coloro che a vario titolo disturbino il governo, come associazioni non governative, movimenti sociali, realtà culturali. Al livello accademico, per esempio, impedirebbe di fatto lo svolgimento dei progetti di scambio, come ad esempio l’Erasmus, e distruggerebbe l’unica possibilità di sopravvivenza di tante realtà artistiche che ricevono fondi dall’UE. La legge, praticamente, distruggerebbe la società civile e ogni possibilità di libera espressione, in una realtà in cui rimarrebbero solo i progetti sponsorizzati dal governo o da potentati economici locali.

La Georgia è in corso di candidatura per l’integrazione nell’UE, con la necessità di rispondere a tutte le caratteristiche politico-economiche-valoriali che l’UE pone come condizione all’ingresso nel consesso europeo. Secondo un recente sondaggio, l’80% dei georgiani è favorevole a questo percorso verso l’UE, e desidera che il Paese faccia tutto quanto necessario per perseguirlo. Ma nonostante le dichiarazioni di facciata del governo, questa legge autoritaria e “anticostituzionale”, secondo le parole del Presidente Zourabichvili, è evidentemente in contrasto con ciò – e questo è stato anche espresso chiaramente dall’Alto Rappresentante Joseph Borrell, che ha definito la legge “incompatibile con i valori e gli standard europei”.

Inoltre, la legge in questione, ricorda in tutto e per tutto quella analoga approvata nel 2012 in Russia, la stessa legge per cui, ad oggi, noi vediamo i libri censurati dentro sacchettini di plastica nera, sugli scaffali delle librerie russe, e con l’etichetta “inostranni agent”. Per questo, i georgiani hanno riconosciuto, per l’ennesima volta, in questo governo, il volere del vicino russo, che ancora occupa il venti per cento del territorio patrio. E per questo hanno chiamato la legge “Legge russa”. E per questo sono furiosi, e sono in piazza.

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Free Saakashvili, Free Georgia, Free the World from Russian Imperialism

As he languishes in prison, on the edge of death, Saakshvili’s fate is not merely the fate of an entire country, it is the fate of the entire former Soviet area.

On the Kyiv Post, CSIG director’s Claudia Palazzo editorial on the condition of the third President of the Georgian Republic, Mikheil Saakashvili, and the future of Georgia and the whole post-Soviet region. Published February 9, 2023.

Following some excerpts:

“Why is Saakashvili’s liberation so heartfelt and important? There are reasons that go beyond the need to stand up against the human rights abuses to which Saakashvili is being subjected.

It is about the fate of an entire country, Georgia, and the fate of the entire area that was once part of the Soviet Union.

When talking about recent Georgian history, it is about the “Saakashvili era” that historians and political scientists refer to. The chronological boundaries of it do not coincide with Misha’s presidency.

It is a “Renaissance” of sorts, a “Belle époque” – a period that in time will be viewed to have started and ended with a major historical event reversing the trend of that time.”

“Indeed, Russia wants to kill Saakashvili because he represents an era, an aspiration. Although Saakashvili’s detractors may have their reasons to oppose him, they appear muted now with him in detention.

Because Saakashvili represents the hope that had animated Georgia before the country started to gradually be dragged back into a suffocating dependence.”

“With Saakashvili suffering and risking death, the roses of the revolution are withering.

But not everything is lost. While Ukrainians are sacrificing their lives for this struggle, protecting the dignity of the free world, and with Georgians praying and fighting themselves for their sister country, it is not too late for the civilized world to intervene and free Misha.

Scripture says that “whoever saves a life saves the whole world.” Since Saakashvili incarnates a historical paradigm common to so many people of the world, this might truly be the case.”

You can find the full article here: https://www.kyivpost.com/opinion/11904

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INTERVIEW to Mamuka Mamulashvili, Commander of the Georgian Legion of Ukraine

In an exclusive interview for the Kyiv Post, conducted by CSIG Director Claudia Palazzo, Mamulashvili explains some fundamental aspects of the war in Ukraine, from the privileged standpoint of founder and commander of one of the most famous units of the Ukrainian forces.

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CSIG Interview to Professor Dzebisashvili on the Georgian Parliamentary Elections 2020

Dr. Shalva Dzebisashvili is Professor and Head of the International Relations and Political Science Program at the University of Georgia.

In this interview, he will explain what happened in the electoral process, what was the role of the opposition, what characterizes the current Georgian political landscape, what were the Georgian people expectations towards this election, how the war in Nagorno-Karabakh impacted the process.

Watch here to get an informed and insight view of the political situation in Tbilisi.

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Nagorno-Karabakh, la fragile neutralità georgiana

La posizione scomoda della Georgia, stretta tra vicini belligeranti e impossibilitata pure a condurre una reale strategia di mediazione. Il timore di interventi esterni da parte dei potenti vicini.

La geografia è destino. Per la Georgia, consiste nell’essere al centro di un’immaginaria croce ai cui estremi si trovano la Turchia (ovest), la Russia (nord), l’Azerbaigian (est) e l’Armenia (sud).

Poi la geografia economica, con la regione di Adjara, sul Mar Nero, largamente ospitante investimenti turchi. Infine, la geografia umana: la Georgia è sede di ampie minoranze armene e azere, particolarmente concentrate, rispettivamente, nella regione meridionale di Samtskhe-Javakheti e in quella sud-orientale di Kvemo Kartli.

A complicare il quadro ci si mette pure la geopolitica, attinente anche alla natura delle relazioni fra i quattro poli. Da ovest: Russia e Turchia in competizione, Azerbaigian e Armenia in guerra, Turchia e Azerbaigian alleati, Russia e Armenia alleati (nominali?). In mezzo, la Georgia: corridoio di transito, nel bene e nel male. Isola di stabilità nel Caucaso del Sud, la Georgia mantiene relazioni cordiali con tutti i poli della croce di cui è centro, tranne che col nord russo, con il quale è stata in guerra nel 2008. Da quel conflitto sono sorti due dei famosi Stati de facto (Abkhazia e Ossezia del Sud) laddove prima batteva bandiera georgiana.

Se la geografia è destino, dunque, il destino della Georgia è indissolubilmente legato a quello della croce sud-caucasica nel suo intero, e la neutralità – intesa come assenza di coinvolgimento – non è un’opzione. È per questo che l’unico scenario accettabile per la Georgia è l’assenza di conflitti nell’area. E se sperare nella pace e nella normalizzazione delle relazioni fra tutti gli attori in causa è impossibile, tifare per una de-escalation e stare in disparte sono le uniche alternative. 

Il conflitto del Nagorno-Karabakh dura da tre decenni, che lo si voglia considerare in alcune fasi “congelato”, o meno. Ma in questi tre decenni, conclusasi la prima guerra del Nagorno-Karabakh, il tacere delle armi è stato sufficiente perché la Georgia potesse sviluppare con relativa serenità una politica interna ed estera “pacifica” – interrotta soltanto dal già citato scontro con la Russia, e da questo o quell’avvicendamento domestico.

La Georgia, comunque, nonostante l’enorme impatto che qualsiasi esito del conflitto avrebbe su di essa, non ha mai ricoperto un ruolo centrale nelle negoziazioni, né ha mai servito come mediatore. È infatti una centralità passiva, quella georgiana, dove il suo essere cuore della croce sud-caucasica non significa ipso facto capacità di esercitare pressioni su alcuno degli attori in gioco: alla Georgia mancano il peso politico e la deterrenza militare per imporre la propria volontà.

Dunque, per la Georgia, si tratta di essere attraversata da ciò che gli altri intendono farvi passare, e di sperare che si tratti soltanto di capitali, infrastrutture energetiche, reti di trasporti o, tutt’al più, aiuti umanitari.

È così che la presidente Salome Zurabishvili, subito dopo il rinnovarsi del conflitto guerreggiato fra Armenia e Azerbaigian, ha convocato il Consiglio Nazionale di Sicurezza, che ha stabilito il divieto assoluto di transito di aiuti militari sul territorio georgiano, spazio aereo incluso. L’idea proposta a fine settembre dal primo ministro Giorgi Gakharia di far di Tbilisi la sede per i negoziati del Gruppo di Minsk è stata rigettata da tutte le parti.

Inoltre, tutte le forze politiche hanno convenuto sulla posizione di neutralità della Georgia – qui intesa come assenza di propensione politica verso l’una o l’altra parte belligerante. Unica voce fuori dal coro, Misha Saakhashvili – ex presidente georgiano e candidato premier per la coalizione d’opposizione alle prossime parlamentari, che si terranno il 31 ottobre – il quale ha preso posizione dichiarando che “il Karabakh è Azerbaigian”.

I problemi che la Georgia potrebbe trovarsi ad affrontare a causa del conflitto nel Nagorno-Karabakh sono di varia natura.

Innanzitutto, di ordine pubblico: come già accaduto con gli armeni che a Javakhk hanno bloccato l’autostrada con la Turchia, accusando infondatamente che da lì stessero transitando cargo militari per l’Azerbaigian. Esiste anche la possibilità che membri delle minoranze si scontrino fra di loro dando luogo a disordini, ma una tradizione di convivenza pacifica all’interno del territorio georgiano fa sperare che questa ipotesi sia poco probabile.

Di natura economica: con un conflitto alle porte, si potrebbe assistere a un crollo degli investimenti stranieri, per i timori d’instabilità dell’area. Inoltre la forte dipendenza energetica della Georgia dall’Azerbaigian renderebbe Tbilisi suscettibile di qualsiasi interruzione di rifornimenti, per non parlare del danno in termini di mancati introiti che il Paese subirebbe nella sua qualità di territorio di transito.

Di natura politica: con le elezioni alle porte, e la gestione della pandemia che, al contrario di quanto registrato durante “la prima ondata”, sta suscitando molte critiche nei confronti del governo, le sopracitate implicazioni economiche del conflitto sarebbero ulteriore motivo di biasimo per l’esecutivo di Gakharia. Dal punto di vista delle relazioni internazionali, qualsiasi passo falso diplomatico da parte di Tbilisi – sia esso reale, o una creazione mediatica – metterebbe a repentaglio i rapporti con l’uno o l’altro vicino di casa, privando la Georgia di un suo asset fondamentale e costringendola a dover ridipingere interamente la propria politica estera.

Se dunque un’intensificazione del conflitto può far pensare cinicamente alle conseguenze elettorali che avrebbe sulla maggioranza di governo georgiana, è anche vero che di fronte a un impatto devastante sulla sicurezza nazionale neppure il politico più spregiudicato potrebbe mettere avanti le proprie ragioni di partito. 

La Presidente georgiana Salome Zurabishvili con il Primo ministro armeno Nikol Pashynian.

Esaminiamo, allora, il peggiore dei casi possibili. Ovvero lo scenario nel quale, essendosi inasprito lo scontro fra le forze belligeranti, Russia o Turchia (o entrambe) volessero intervenire direttamente sul campo. In questo caso, il maggiore timore riguarderebbe Mosca. Ankara, dati i propri rapporti con Tbilisi, non forzerebbe la mano nel chiedere “permesso di transito” alla Georgia. E data la situazione sul campo, a netto vantaggio dell’Azerbaigian, è meno probabile che abbia necessità di intervenire. Al contrario, l’Armenia in difficoltà necessita senz’altro degli aiuti di Mosca. E benché sia possibile che un ruolo attivo e incisivo dell’Iran risulti in ciò sufficiente, almeno in una prima fase, si è già parlato di una piccola stazione russa apparsa improvvisamente vicino a Berdzor/Lachin – anche se la natura di questa base non è stata confermata.

Se la Russia, in nome del CSTO, dovesse intervenire, potrebbe farlo esclusivamente passando per Tbilisi, a 40 km dalla quale, in seguito al conflitto del 2008, sono stazionate truppe russe. Se Mosca chiedesse a Tbilisi il permesso di transito, dunque, la Georgia si troverebbe di fronte a un drammatico dilemma: consentirle di raggiungere Yerevan senza scontri, e di conseguenza non solo piegarsi alla volontà del nemico, ma anche rischiare le furie di Ankara; negarle il permesso e rischiare che essa decida di transitare comunque – invadendo così la Georgia. In questo caso le furie di Ankara andrebbero verso Mosca, e nel timore di uno sbilanciamento degli esiti nel Nagorno-Karabakh, il rischio di uno scontro diretto fra Turchia e Russia sul territorio georgiano è da prendere in considerazione.

Nessuno vuole trovarsi in uno scenario di questo genere. Un nuovo Medio Oriente nel Caucaso è qualcosa che il mondo intero non può permettersi. É per questo che, se la speranza georgiana di una de-escalation del conflitto è un’ovvietà, per la comunità internazionale comprendere ciò che è davvero in ballo in Nagorno-Karabakh è dovere.

Claudia Palazzo

Articolo originariamente apparso su “Osservatorio Russia” il 30 ottobre 2020.

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